TATTOO INTERVIEW | Mino Spadacini
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Abbiamo come ospite Mino Spadacini colui che aprì in primo studio di tatuaggi in italia e uno dei padri fondatori del tattoo in italia La camicia bianca (senza neanche una piega) e la cravatta (con i suoi amati cavalli) stridono con lo stereotipo del tatuatore cupo ed «energumeno» dell’immaginario collettivo. Mino Spadacini è un’istituzione. Ha 75 anni (ne dimostra molti di meno), è elegante (indossa gilet e giacche), sorridente, ha un forte accento milanese, suona la tromba ed è appassionato di rodei. Quando ha iniziato a tatuare, fine Anni 60, non c’era nessun professionista in città. Lui è stato il primo a Milano (e in Italia). «Ho frequentato l’Accademia di Brera, il disegno era nelle mie mani. Ho dipinto su tutte le superfici, mi mancava la pelle». A 20 anni ha fatto un viaggio a Hong Kong, è salito a bordo di un taxi e chiesto al conducente di portarlo da un sarto. Per un malinteso si è ritrovato in un studio di tattoo: «C’erano dei marines stesi per terra che si facevano disegnare le schiene, era l’epoca della guerra del Vietnam — racconta —. I proprietari mi chiesero di raffigurare qualcosa, mi finsi parente di Raffaello e scoprendo le mie doti artistiche rimasero entusiasti. Restai sull’isola per un lungo periodo. Dopo è stata la volta di San Francisco, Amburgo, Londra e Milano». Quando è tornato in Italia si facevano tatuare soltanto le persone della malavita o i marinai. In Norvegia, Svezia e Giappone, invece, era un’arte riservata alla nobiltà.
Fonte: Il Corriere della Sera